Viviamo in un mondo nel quale il low cost sembra essere imperante. E non ci siano più i prezzi di mezzo, una porzione di intervallo tra il lusso e l’occasione, come se la gente non sapesse più distinguere la qualità e debba per forza riferirsi al prezzo per stabilire la bontà di un prodotto o servizio. Può sembrare strano, ma capita questo perché il nostro cervello è abituato a prendere scorciatoie mentali, lavorare in economia. L’avventura del low cost è cominciata lontano e si è sviluppata esponenzialmente a pari passo con la diffusione del web.
I voli low cost sono stati il primo traino e non è un caso che tra le più vecchie aziende in grado di monetizzare il traffico online, si annoverino quelle che hanno investito nel settore del turismo, eliminando la classica intermediazione. Il caso di RyanAir o di Booking è quantomeno eclatante e invoca l’analisi di parametri economici ben definiti. Innanzitutto volare low cost è stata semplicemente una trovata geniale: molte aziende provenienti dagli ampi periodi di crescita realizzati nel quindicennio 1982-1997 avevano trovato il modo di riempire di benefit i dipendenti e concedersi qualche lusso di troppo, anche nelle offerte per il consumatore.
Le compagnie aeree investivano milioni di dollari nella creazione di sedi e hub, nell’assistenza al viaggiatore, tanto che l’esperienza del volo, ancora fino a metà degli anni Novanta era considerata un lusso, da accoppiare a servizi dello stesso tenore.
Poi un imprenditore irlandese ebbe la brillante idea di concretizzare un concetto, di dar forma a un pensiero che lo attanagliava ogni volta che prendeva un aereo: l’unica cosa che interessava ai viaggiatori era giungere a destinazione in orario. Per cui eliminò tutti i benefit, scelse sedi meno costose, ma che erano ben liete di accogliere nuovi viaggiatori e svilupparsi. E con l’avvento del web eliminò del tutto i costi di gestione del personale esterno, praticando per primo forme di prenotazione e check-in online, che tuttora consentono a chiunque di prenotare un volo in sicurezza per qualsiasi destinazione, a costi che negli anni ottanta sarebbero sembrati ridicoli.
Il low cost è quindi stato, prima di tutto, un abbandono dei benefit e del superfluo, in un’area, quella del trasporto aereo, che faticava a focalizzarsi sull’essenziale, tanto che grandi compagnie come Pan Am e TWA stavano andando in crisi per la scarsa organizzazione delle risorse e per la concorrenza delle compagnie interne agli Stati Uniti (i cui voli “regionali” rappresentano una ghiotta fetta della torta globale).
Il concetto si è esteso a macchia d’olio all’intero campo dei servizi online decretando un trionfo che per certi versi era inaspettato. In primo luogo perché ancora nel 1998 erano in pochi a scommettere sul web, in secondo luogo perché giudicando la qualità dal prezzo, potevamo essere portati a pensare che i voli low cost fossero meno sicuri di quelli tradizionali sulle grandi compagnie. E lo stesso vale per tutti quei servizi offerti a prezzi stracciati, che sembrano troppo convenienti per essere veri.
Eppure è cambiato tutto: anche iTunes, nonostante appartenga a un marchio che ha fatto della qualità un tratto distintivo, di fatto ha dato l’accesso alla musica a chiunque a prezzi che prima non si vedevano. Colpa del web e della tecnologia peer-to-peer che hanno sconvolto l’intera industria dell’intrattenimento. Ma meglio low cost che gratis, e le major lo hanno capito benissimo.
Oggi il low cost è esteso ovunque e assicura quei margini di sopravvivenza che prima non si potevano nemmeno immaginare, senza rinunciare a costosi tagli del personale. Non si tratta del trionfo delle macchine, ma del mercato globale si.